La storia del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici si è fondata sull’idea che attraverso il lavoro ciascuno esplora le proprie attitudini, costruisce le proprie competenze, dà voce alla propria partecipazione attiva ai processi di cambiamento, trova la sua collocazione nella società. In un mondo, in cui le forme di produzione sono così tanto trasformate che non stanno più nelle mani di chi lavora, ha senso parlare di diritto al lavoro?
Una risposta indiretta il ceto politico, quello economico e quello dell’informazione, salvo rare eccezioni, in qualche modo l’hanno articolata, relegando il lavoro e le persone che lavorano, all’ultimo posto delle loro agende. Per questo ci siamo messi alla ricerca di storie, se ancora ci fossero state, in cui il lavoro facesse da motore di un cambiamento, di una scelta di vita, modicando il destino di una comunità. Il lavoro come dato di libertà prima ancora che di necessità.
E le abbiamo trovate, le storie , in ogni parte del nostro paese. Uomini e donne che hanno rimesso in moto aziende ormai perse, hanno salvato il proprio lavoro, ridando speranza ad intere comunità. Persone che credono fermamente che il lavoro sia strumento di identità, di autorealizzazione e di cambiamento. Questa esperienza ci ha mostrato competenze non comuni, abilità straordinarie, equilibrismi amministrativi necessari, banche riottose e comunità solidali, istituzioni attente e soggetti sociali distratti, capacità progettuali e creatività diuse, grandi sacrici ma anche molte soddisfazioni.
Bella Impresa! - Storie di lavoro e ordinario coraggio
Tutte queste cooperative forse non ce l’avrebbero fatta senza il sostegno economico, professionale e progettuale di realtà come Banca Etica e la Lega delle Cooperative. O del sindacato, che in quasi tutte le situazioni di crisi è stato capace di sostenere il progetto industriale di questi lavoratori e lavoratrici, facilitando l’accesso agli istituti di protezione e ai fondi disponibili per nuove imprese, nonché nella denizione di nuovi contratti di lavoro.
Emerge, nelle interviste, il tema della solidarietà fra soci è stato indubbiamente il più ricorrente. Se non si condivide noin fondo il progetto, sacrici compresi, non si va da nessuna parte. Parrebbe, di primo acchito, trattarsi di quella solidarietà necessaria fra deboli, quindi fragile, legata al bisogno di stringersi per essere più forti. Ma quando ricorre il proposito di far crescere l’azienda per dare lavoro a chi non ce l’ha, a chi è per ora rimasto fuori ma domani si vedrà, allora questa solidarietà si rafforza.
Forse è vero che in un mondo che corre così velocemente, in cui i cambiamenti epocali non hanno più niente di epocale perché si susseguono numerosi nell’arco di pochi anni, non appare credibile che si possano immaginare grandi narrazioni sul futuro, cui adare sogni e speranze; tuttavia ciascuno può costruire nel lavoro di tutti e nella vita di ognuno un futuro su cui si può contare. Questo hanno fatto e stanno facendo questi uomini e queste donne. In questo consiste l’utopia del quotidiano di cui parlava Bruno Trentin.